giovedì 9 agosto 2012

da grande voglio fare la gelatiera


Non e’ che siccome sono in pseudo-vacanza in Italia da piu’ di un mese abbia perso l’abitudine di fare esperimenti o, prospettiva al limite del fantascientifico, smesso di combinare disastri.  Piu’ che altro il differente scorrere della vita a queste latitudini ha sostituito l'esperimento scaccia-noia premeditato con la sperimentazione casual, idee estemporanee che vengono realizzate tra una pedalata a velocita’ sostenute per le vie di Milano e la scelta della maglietta per la seguente uscita per cui sono gia' in ritardo, tipicamente in competizione con la doccia e almeno un altro paio di attivita’ vitali. Oppure a notte fonda, sotto l’influsso della trasfusione alcolica standard da 5 ore, dall’aperitivo al Baileys della buonanotte, alla luce della lampadina da lettura, quella che non capisci se la matita che hai in mano sia rossa, viola, o forse verde.
Non che ci sia davvero bisogno di vivere sempre cosi’ di fretta, ma un po’ mi piace, fa molto Milano, fa molto “sono viva”, e un po’ non riesco farne a meno, di fissarmi impegni a distanze eccessivamente ottimistiche, soprattutto considerate le temperature tropicali che fanno molto Milano anche quelle, soprattutto a luglio. E che mi muovo in bici, manco a dirlo.
Tornando ai disastri, quelli si accoppiano fin troppo bene alla “vita di corsa”, e’ una simbiosi al limite del parassitismo. Ad essere cambiata e’ piu' che altro la mia capacita’ documentativa: e’ solo a disastro concluso, e a volte anche ripulito, che mi rendo conto di non aver nemmeno pensato di fotografare il tutto, e a quel punto e’ troppo tardi. Non sono Edgar Allan Poe, che e’ capace di indurti incubi da cacarsi addosso senza l’aiuto di mezza figura. Senza foto non e’ la stessa cosa. No foto no party, senza possibilita' di appello. 
Quindi ieri, quando in pieno abbiocco postprandiale ho addocchiato la gelatiera, tristemente inutilizzata dalla scorsa estate, e un cestino di pesche dall’aria vagamente incartapecorita, non mi e’ nemmeno venuto in mente che avrebbe potuto essere la buona occasione di recuperare anche la macchina fotografica.
L’illuminazione non e’ arrivata nemmeno quando, cercando di versare il frullato di pesche e maraschino nella gelatiera, ho preso male la mira e ne ho rovesciato fuori, vuoi l’abbiocco postprandiale o il fatto che nell’indecisione tra aggiungere maraschino o rum alle pesche avessi dovuto assaggiarli entrmbi, be’ non e’ che ne avessi rovesciato fuori meta’, ma diciamo un po’.
Il che e’ davvero un peccato perche’, ormai presa nel loop, gia’ mi vedevo proprietaria di una catena internazionale di “gelaterie artigianali dai gusti originali”, nonche’ di un catamarano da 20 metri con base a Cuba (o se non a Cuba in un posto altrettanto lontano dalla Svezia e ricco di rum), e dopo aver aperto il frigo e tutti gli armadietti della cucina, studiatone il contenuto con occhio da chef navigato, annotato la carenza di ingredienti di non proprio secondaria importanza quali panna e zucchero bianco, avevo appena pianificato la mia prima produzione all’ingrosso di “gelati artigianali dai gusti originali, e dietetici” (e con essi almeno un paio d'ore consecutive di disastri in cucina):
“Pesca e maraschino”, che gia’ rimestava nella gelatiera.
Mela, zenzero, limone e basilico, iniziato con un “uh c’e’ dello zenzero in frigo”, seguito da limone, in quanto accostamento standard, mela, perche’ serviva qualcosa per smorzare lo zenzero e c’erano giusto tre mele in frigo, se possibile piu’ incartapecorite delle pesche, basilico perche’ mi piace il verde. E poi del limoncello, ovviamente per tenerlo morbido e non perche’ io sia un’alcolizzata. In gergo tecnico si chiama sorbetto, ecco.
Ed ecco anche che la scelta degli ingredienti diventa talmente improbabile da incatenare una serie di pensieri che partono piu’ o meno da “secondo me sono un genio dell’innovazione gelatiera ma questo gusto potrebbe essere incompreso dal pubblico ignorante e tradizionalista (i miei) e rivelarsi un disastro epico” per arrivare a “uh ma io ho un blog di disastri che langue abbandonato da quasi due mesi”. Si be mai detto sia stata una catena troppo lunga.
A quel punto il mix per il suddetto gelato era fatto, ma ho potuto fare qualche foto della preparazione del terzo gusto del mese: caffe’, cacao, un uovo, latte, zucchero di canna.
 

E rum.

E poi sul finale ho aggiunto del cioccolato fondente spezzettato, piu’ che altro per evitarmi di mangiare tutta la tavoletta da sola, che poi mi annacqua il rum, e uno strato di cacao in polvere, anche l’occhio vuole la sua parte.

Nota a me stessa: se riempi troppo il frullatore poi il contenuto straborda fuori.



Infine, tanto per dimostrare le mie effettive possibilita’ di carriera, l’ultimo esperimento e’ stato un “sorbetto a due tempi”, menta e birra (non farina del mio sacco stavolta, ma di GialloZafferano). A due tempi perche’ prima di fare effettivamente il gelato ho dovuto raccattare la menta in giardino, con 40 gradi all'ombra, e fare l’infuso (con acqua e zucchero di canna), e lasciarlo in frigo per qualche ora. Roba di un certo spessore.




Nell'attesa ne ho approfittato per smaltire gli assaggini, prevalentemente alcolici nonche' indispensabili a una corretta riuscita degli altri gusti, dividendo equamente il resto del pomeriggio tra lettura a letto e lettura in piscina.
Alla fine l’ho finito dopo cena, che gia’ avevo di nuovo sonno, ragion per cui il montaggio a neve dei bianchi d’uovo ha sparato schiuma ovunque, per non parlare di quando ho aggiunto roba liquida tipo birra e infuso alla menta.

 

Ad esperimento finito non avevo nemmeno piu’ voglia di assaggiare i risultati, sara’ che un po’ di birra l’avevo aggiunta anche al mio bicchiere (quello nella foto qui sopra), e ho fatto giusto in tempo a fare un'ultima foto:


Cosi’ a occhio non sembrano male, piu’ tardi sarebbe da fare una foto anche alle facce degli assaggiatori, giusto per completezza.